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©annessimecciandrea Aam 1582 (roma 2018) Per Rubrica Il Collettivo Chiede Ad Antonella Anedda)

Antonella Anedda, un legame di sangue

di Redazione
Maggio 2023

INTERVISTE www.poetipost68.it
“io custode non di anni ma di attimi”
il collettivo poetipost68 chiede

In che anno della storia del Novecento sei nata? Assume per te un significato privato oltreché pubblico questa data?

Sono nata il 22 dicembre 1955, ci ho pensato a lungo ma temo che abbia per me solo un significato privato. L’unica cosa che mi viene in mente è che il 22 dicembre è morto un autore che amo molto, Samuel Beckett

Hai avuto delle madri e dei padri in poesia, o nel corso della tua formazione?

Forse ho avuto qualche zia come Amelia Rosselli che è stata la prima poeta che ho incontrato fisicamente.
Poi molti parenti morti, non solo poeti – molti vivevano in Grecia, a Sparta come Alcmane, a Eressos come Saffo e Teofrasto. Poi molti sono emigrati, in America, anche del sud, in Brasile come Clarice Lispector. Ironia a parte faccio fatica a rispondere. Ci sono state e ci sono sorelle e fratelli non necessariamente della mia stessa età.

Quale significato attribuisci al termine “anni” nel tuo alfabeto poetico?

Un significato sempre meno significante. Cosa sono e cosa diventano quando si avanza appunto negli anni? Il passato spesso mi allarma con la sua irrealtà. Le domande s’infittiscono: che cosa ero nel 68? Io e mio fratello siamo cresciuti in modo molto isolato, non sapevamo cosa succedeva nel mondo, degli anni Settanta mi ricordo la scorta dei carabinieri nel pianerottolo perché a mio padre che era magistrato arrivavano lettere minatorie. Ora gli anni per me si rivelano per quelli che sono: numeri.

Esiste a tuo avviso un legame tra Poesia e Storia?

Sì un legame terribile. Simile ai visi bendati degli Amanti di Magritte. Un legame di sangue. La storia incalza comunque la poesia e guarda la geografia di uno spazio mobile, aperto, senza muri, senza frontiere. La geografia è quel messia che non arriverà se non quando la storia avrà smesso di divorare con tutte le sue storie di razze, religioni, identità. Ho sempre ricordato i versi finali di The Map di Elizabeth Bishop: “più delicati degli storici sono i colori dei cartografi”. La storia insegna? No, ammonisce con i suoi mausolei. È interessante, ma non ci ha reso migliori. Dovrebbe cambiare il suo sguardo che continua a restare antropocentrico, economico e si può ancora dire? capitalistico.

Cosa accade durante la formazione dell’opera in relazione all’Io e all’identità della voce?

Non sono sicura che l’identità esista.

Quale funzione ha nella tua produzione la prosa (sia essa narrativa, critica e/o teoretica) e quale rapporto intesse con la poesia?

La prosa ha un ruolo importantissimo anche come fonte di ispirazione se vogliamo usare questo termine e ha sempre intessuto con quello che scrivo un rapporto molto profondo, vitale. Ho iniziando scrivendo prosa, brevi racconti. Amavo molto Cechov. Comunque non ho mai creduto negli steccati tra prosa e poesia. L’una sogna spesso il sogno dell’altra.

Quale rapporto ritieni di avere con le nuove generazioni di poeti, e come percepisci le nuove forme di poesia? Puoi descriverci qual è il tuo sentimento del futuro collettivo?

Ho un buon rapporto, credo. Leggo. Penso ci siamo molti modi di fare poesia e molti modi di guardarla. Ho sempre pensato ai poeti come ai lombrichi di Darwin che lavorano silenziosamente il terriccio. I poeti conservano la specie-poesia. Ogni volta che incontro un testo bello e per bello intendo che regge, che ha una struttura e una sorpresa, mi viene fiducia nel futuro. Un po’.


(ph: ©Andrea Annessi Mecci, Roma, 2018, Corpi galleggianti, Ninive, Palazzo Nord di Assurbanipal, VII secolo a.C.)